venerdì 19 settembre 2008

La Violenza come mezzo di Comunicazione [Parte Tre]


"Mia madre metteva su Michelle, si metteva sul divano e mi osservava, col Meccano, costruire l'Eiffel. Ma, arrivato in cima, mancava sempre un dado. Non me ne capacitavo, sbriciolavo l'autostima, e liberando le dita dal peso delle brugole, scappavo con le nuvole del senso della mia vita." [Dargen D'Amico - Al Meccano]


Nota: questo post è la terza parte di un post lungo non so ancora quanto.
Se volete capirci qualcosa e non avete ancora letto le "precedenti due puntate" vi consiglio di leggere PRIMA la "Parte Uno" e la "Parte Due" e POI la Parte Tre, che è questa che state leggendo in questo momento. Se vi pesa il culo farlo non c'è problema. Vi voglio bene lo stesso.



Ci fermammo a prendere una birra, una gran bella rossa pastosa, e una Kwak ora che Kwak era semplicemente "pastosa" e ben poco gran bella rossa, sarebbe stata l’ideale.
Poi ci scambiammo i numeri di telefono, ci promettemmo di risentirci per qualche altra cavalcata e ce ne tornammo a casa, ognuno con la propria solitudine, come Bill Bixby nella serie televisiva de L’Incredibile Hulk, sporchi, coi pantaloni strappati, su una strada desolata.

Mi svegliai con un cerchio alla testa grande quanto la Capanna dello Zio Tom, ma il problema non era tanto questo quanto il fatto che accanto a me, nel letto, non c’era mia moglie, nella camera di là non c’erano i miei figli e nella cuccia non c’era il mio cane.
Non c’era nemmeno "una camera di là" e non c’era nessuna cuccia.
Se è per questo non avevo mai avuto moglie, figli e cani propriamente miei. Ero solo me stesso, un 29enne di Lecce un po’ sbronzo.
E con le mani ancora sporche.

Presi il foglietto con su scritto il numero di telefono di Kwak e lo gettai nell’immondizia, andai all’auto e la lavai dal sangue, aprii il portabagagli e spostai il piccone un po’ più in là, ci misi dentro i miei vestiti laceri, tirai fuori cacciavite, pinza e nastro isolante e misi in moto.
La mia coscienza non si fece più sentire per un po’, probabilmente inebetita dai miei movimenti e ancora vittima delle legnate prese la sera prima. C’erano anche possibilità che io l’avessi uccisa e a questo pensiero iniziavo a sentirmi meglio.
Se avessi ucciso la mia coscienza, mi dicevo, avrei potuto essere più libero, essere capace di muovermi liberamente, avvicinandomi a quella posizione di potere cui ambivo e allo stesso tempo allontanarmi dalla povertà, dalla voragine di debiti che avevo creato, voragine che risucchiava tutti i miei risparmi, i miei sforzi, i miei sacrifici, i miei sogni e le mie ambizioni.
Tutto quello che avevo era la parola e iniziavo a convincermi che il potere posseduto dalla parola, non avesse nulla a che fare col potere contenuto in un cazzotto bene assestato.

Mentre in piena campagna smontavo lo sportello del passeggero regalandogli nuove interessantissime modifiche, i miei pensieri si alternavano. Pensavo a mio padre, che un bel giorno decise di modificare la 127 Panorama di famiglia. Non pensavo all’epoca che ci volesse così poco per disintegrare un’automobile, o meglio, sapevo già, chiaramente, che un incidente contro un ulivo neanche tanto secolare può fare sufficienti danni da rottamare un’auto, o che investire un canguro in Australia adduce alla macchina danni non coperti dall’assicurazione.
Quello che non sapevo è che un uomo solo può apportare tante di quelle inutilissime modifiche tutte da solo, tutte in una mattinata, tutte senza un perchè, da distruggere di fatto un'automobile.

L’operazione di mio padre, visibilmente posseduto dal Transformes alieno di Optimus Prime, consisteva nell’incrociare, a suo dire "geneticamente", una 127 Panorama dell’86 ad una MiniMinor dell’84, e vedere che cazzo ne potesse uscire fuori.
Non so cosa esattamente si aspettasse lui, ma quello che ne uscì fuori era ovviamente una merda.
Una merda cagata di gusto dal Commander a.k.a. Optimus Prime, per la grande gioia dei Decepticon tutti. Il sedile posteriore era scomparso in favore di quello della MiniMinor, rendendo impossibile sedersi sia a gente con un grande culo, sia a gente troppo alta. Per esempio, io non sono mai stato particolarmente fortunato, quindi niente problemi di culo, ma per alto sono alto e sui sedili di dietro non mi ci potetti mai più sedere.
Anche i sedili davanti erano stati cambiati con quelli della Mini. Qui apparentemente non ci furono grandi problemi, ma nemmeno grossi vantaggi. Solo tempo dopo mi accorsi che il tappetino sulla pedana della macchina era messo lì per coprire gli immensi buchi rimasti nell’operazione di scambio dei sedili. Il saldatore può essere il migliore amico di un uomo di cinquant'anni, ma senza stagno è come una rana senza Giovanni.
O come un pesce fuor d'acqua.

Il volante fu cambiato con quello della Mini, decisamente più piccolo di diametro, facendo sentire ancora di più l’assenza del servosterzo quando la macchina era in movimento.
I buchi sotto ai sedili potevano anche essere ignorati a motore spento, ma la cosa si faceva impensabile a motore acceso, quando il fumo scappava dal tubo di scappamento, a causa dei fori apportati alla marmitta, fatti per rendere più anni ’70 l’auto/chopper, ed entrava in macchina favorendo sonnolenza prima, e morte per gas di scarico poi.
Ai miei reclami su questi reiterati tentativi di omicidio, mio padre rispondeva con un calmissimo "Entra nella macchina perché scappa. E scappa dal tubo di scappamento".
Per lui era normale la cosa.
A me faceva solo incazzare.

Tutto questo faceva il paio con il pensiero alterno: i potenti sono tali perché gli altri, il popolo, la società, è troppo impegnata in altro. A lavorare, a mettere da parte spiccioli, a sposare le figlie e a sgravare bebè.
A guardare il dito che indica la luna.

Io mi ascoltavo il grido mentre sfondavano la cruna del mio culo.
Mi avvicinai al lunotto posteriore e aprii il portabagagli, ne presi del nastro isolante che avevo in una cassettina e ritornai allo sportello destro. Era un bel pacco da 6 rotoli presi all’IperCoop, sezione BricoCenter. Gommosi, incollosi, ed economici.
La cosa più importante quando maneggi nastro isolante è non esporlo al sole: lo squaglia e rende davvero fastidioso maneggiarlo. Perde colla appiccicaticcia come un cazzetto annerito di un settantenne che spruzza ancora, ma non più a comando.
Il nastro isolante rimasto al sole troppo a lungo, sulle mani, da la stessa sensazione che ha un uomo quando lava il seme bambinesco dalle mani con acqua fredda. Sborra.

Tornai anche ai miei pensieri.
I potenti non hanno cuore. Non hanno passione per le cose, raccontano balle sulla famiglia, come un peccatore che si confessa a un prete, puniscono i torti con il sangue e il sangue con altro sangue, riempiendo libri di politica sociale e aziendale, mentre tutti restano inebetiti senza neppure accorgersi che prologo ed epilogo sono uguali per tutti, per scelta.
Loro.
I potenti sono violenti.
I potenti vengono ascoltati.
I potenti sono Leader.
La violenza è un mezzo di comunicazione ed è più potente della parola.

Per sempre, da ora, sarei stato violento quindi in grado di fare di tutto e diventare così quel leader capace di grandi cose, potenti magnificenze.
La violenza è un’arma più efficace della parola.
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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Quarta parte! Quarta parte!

Marco Laggetta ha detto...

mmm..questa terza parte mi sembra meno sentita delle altre due. meno "violenta" delle altre due, meno incisiva :)

Anonimo ha detto...

mmm... ma la prima persona singolare del verbo potere al passato remoto non è POTEI? bwahwhawhawha!

cmnq impareggiabile la frase sui gas di scarico...