martedì 30 settembre 2008

La Violenza come mezzo di Comunicazione [Parte Quattro]


"Tu mi dicevi: "Passo da te giusto il tempo del Subbuteo, giusto il tempo di due chiacchiere" e invece tu volevi togliermi il sudore, le scorte, e portarmi sul carro dove è facile incontrare la morte. Tu lasceresti morire Pietro Micca a 3 anni, soffoca da una cicca." [Dargen D'Amico - Sul Carro]

Nota: questo post è la QUARTA parte di un post abbastanza lungo.
Se volete capirci qualcosa e non avete ancora letto le superfantastiche "precedenti tre puntate" vi consiglio di leggere PRIMA la "Parte Uno", "Parte Due" e la "Parte Tre" e POI la Parte Quattro, che è questa che state leggendo in questo momento. Io vi consiglio di farlo, giusto per non farvi perdere troppo tempo...




Rimisi al proprio posto ogni cosa, nastro isolante e pensieri, cacciavite e pinza, panza e sostanza. Ero stanco, poco sbronzo e ne avevo abbastanza e tutto ciò che mi avanzò nel rimontaggio, finì in una scatola nel portabagagli.
Quando ebbi finito, tornai a casa e mi rifugiai nella mia stanza.
Mi resi conto che ora era da un bel po’ che Sua Maestà La Coscienza era sparita, lasciando dietro di se nessuna traccia.
Forse era morta per davvero ed io ero libero di fare minchiate tipo le mie modifiche all’auto, tipo mio padre.
La Coscienza.
Forse anche mio padre l’aveva taciuta.

Quando andai a prenderla da casa, Kwak era più bella della sera prima. Entrò in macchina, arrivammo a destinazione ed andammo dritti al sodo. O almeno ci andai io.
Quell’uovo lo avrei preferito strapazzato, con un po’ di pomodorini schiattati accanto, rucola fresca e olio e origano su una frisa di orzo, bagnata almeno quanto Kwak quando aveva le mie mani addosso, ma lei impazziva per quello sodo e non mi trattenni dal dirglielo strapazzandole le tette. Sode.
E toccandole la patata. Bagnata.
In trattoria facemmo un salto. Con l’asta.
Le uova che prendemmo nella Locanda della Zia Wanda non tardarono ad arrivare.
Non passò molto che prese a piovere, poi la pioggia aumentò di intensità e diluviò. Tuoni e lampi, pioggia e fulmini.Bagnati fradici, dissi "se continua così finisce che fa brutto e piove", lei schiamazzò in una risata tra l’isterico e il divertito, poi mi prese una mano.
Temetti una nuova domanda su quel programma di Italia Uno degli anni ’90 e mi venne un colpo. Di fulmine.

Le uova sode in trattoria puzzavano di loffa lontano un chilometro, un tipo che prese una pizza cipollata mi guardò malissimo, come se l’avessi fatta io. La loffa, non la pizza.
Non feci comunque nessuna delle due e l’odore della cipollata mi ricordava vecchie partite di pallone con gli amici, con le ascelle di tutti vistosamente incazzate col genere femminile.
Quel genere di femmine che non ci rivolgeva la parola, chissà perché poi.

Devo ammettere che a fine serata un pò mi dispiacque fare quanto feci ma non ce la facevo più, e Kwak si stava montando la testa, mentre io volevo montarla e basta.
Una volta in macchina, con una quantità notevole di alcool in circolo e una puzza di loffa che ci appestava il fiato, dopo averla montata come un lego nel circo dell’amore, Kwak respirò a fondo e partì:

- Ho avuto un colpo di fulmine.
- E’ perché c’è il tempo che fa brutto. Vedrai che finisce che piove.
- Ho preso un colpo di fulmine per te, idiota.
- Non scherzare, lo sai che ho famiglia.
- Lascia tua moglie, andiamo via insieme.
- Andare dove?
- Da qualunque parte. Sono stanca di fare questa vita, di fare la puttana, di essere toccata da tutte quelle mani luride, tutta questa gente che si approfitta di me, della mia situazione. Godono tutti tranne me, e a me non resta che quella roba appiccicosa da lavare via con un klinex comprato in confezioni giganti. (Sperma) Sono stanca di piangere. Io ti amo. Vieni via con me, lascia tua moglie, fanculo ai bambini, li hai sempre detestati. E poi tua moglie non la ami o non verresti a letto con me. Puoi portarti dietro il cane se ti fa piacere, ma andiamo via ins...

Il pugno chiuso stringeva il frontalino estraibile dell’autoradio, che fino a un attimo prima suonava "A like Rolling Stone" del buon Bob Dylan. Ad alcuni non piace Bob Dylan, io avevo il sentore che a Kwak non le sarebbero piaciuti più neppure i frontalini estraibili.
Fatto sta che il pugno farcito di autoradio Audiola la colpì dritta in fronte, Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per 10 minuti.

Dicevo che un po’ mi è dispiaciuto, ma mentre parlava vedevo quelle enormi tette sode e insieme sentivo quell’odore di loffa che mi si era intrappolata nelle narici, e lei mi parlava di amore e di colpi di fulmine e io pensavo alla Marcuzzi e a quel genere di femmine che non mi rivolgevano la parola. E poi non sentivo la coscienza ormai da un po’ e mi tornava alla mente la cipollata di quel tipo alla Locanda della Zia Wanda e...
Mi sono lasciato prendere dagli entusiasmi.
Sapete tutti com’è.

Controllai il suo sportello ed era tutto ok. Aprii il cruscotto, presi il cacciavite e lo misi sotto il sedile anteriore destro, accesi il motore, misi la prima e imboccai la strada provinciale Lecce-Novoli. Passarono quei dieci minuti e lei si svegliò, mi guardò e chiese cosa cazzo fosse successo. A quanto pare non lo ricordava. Sei crollata e hai sbattuto la testa, hai dormito per una decina di minuti, le dissi, lei mi rispose che aveva fatto un sogno.

- Un sogno? Di che genere?
- Una cosa strana. C’eravamo io, te e altre persone che non riuscivo ad identificare. Forse erano dei miei amici di infanzia, forse era il mio ex-compagno, non lo so. Eravamo a casa mia, nella mia camera da letto, era il mio compleanno e tu mi ha regalato un palloncino.
- Un palloncino?
- Si, un palloncino. Di quelli di plastica o gomma, o che è, che si gonfiano a fiato, che poi riempiono le feste di compleanno dei bambini.
- Ah ok ho capito. Un palloncino.
- Si bravo, un palloncino.
- Che regalo di merda però. Un palloncino.
- Me lo hai regalato tu, sei tu che mi hai fatto un regalo di merda.
- Ma te lo sei sognato tu, non è che sono responsabile anche dei tuoi sogni...
- Vabè, lasciamo stare. Dov’ero rimasta?
- Ti ho regalato un palloncino.
- Ah si, giusto. Il regalo di merda. Allora mi regali sto palloncino, io lo prendo in mano e prendo a gonfiarlo. Lì per lì mi piace perché si gonfia bene, ma poi inizia a darmi quella sgradevole sensazione alla mascella, hai presente?
- Quando soffi troppo e poi finisce che ti fa male qui, all’attaccatura tra mandibola e mascella?
- Si esatto.
- Si, si, ho capito.
- Nzomma, gonfio questo palloncino e quando prende a farmi male la mascella mi fermo e faccio il nodo per non far uscire l’aria. A quel punto il palloncino si buca, ma non esplode. Lascia solo uscire fuori l’aria dal buco. Io mi dispiaccio, perché per quanto potesse essere di merda era il tuo regalo per il mio compleanno, e allora su quel piccolo buchino ci metto sopra un dito, di modo da bloccare la fuoriuscita dell’aria. E l’aria non esce più.
- E’ normale.
- No, non è normale, perché è vero che non esce più, ma come copro il buco, l’aria prende ad entrare nel palloncino e il palloncino si gonfia ancora di più, e si gonfia fino a bucarsi di nuovo.
- Ah, figo. E quindi?
- E quindi ricopro il nuovo buco e di nuovo l’aria riprende ad entrare nel palloncino e il palloncino riprende a gonfiarsi.
- E si ribuca.
- Esatto. Solo che questa volta il buco è più grande e ora per coprirlo ho bisogno di due dita. E poi l’aria riprende a gonfiarlo di nuovo, perché cazzo, so che è incredibile, ma continua ad entrare e per il nuovo buco ora mi occorre il palmo intero della mano. E poi non mi bastano neppure due mani intere e più si gonfia e si buca, più diventa grande e grosso, e più cresce più la gomma di questo cazzo di palloncino di merda si fa sottile e più si assottiglia più è facile che si buchi.
- Cazzo.
- Cazzo si. Perché si buca.Cazzo se si buca.E tu mi vedi in difficoltà e io ti chiedo aiuto e tu me lo dai l’aiuto e me lo danno anche quelle persone di cui non conosco i volti. E allora siamo tutti su questo palloncino che è diventato enorme e ci avvinghiamo uno sull’altro per raggiungere i buchi più in alto per coprili perché ora il palloncino è più alto di me e non è facile arrampicarvisi sopra. E ci sforziamo da matti a mettere le mani su quei buchi che aumentano inesorabilmente, come la sua dimensione, ma più ci affrettiamo a coprire i buchi più questi aumentano e alla fine tu e quella gente vi scassate ad aiutarmi e uno dopo l’altro, inesorabilmente, mi lasciate sola. Ma io non ce la faccio da sola e per quanto mi batta, per quanto io lotti, i buchi per me da sola sono troppi e il pallone per quanto diventi grosso, per quanto assottigli quella gomma, per quanto si buchi, non scoppia mai, non la fa mai finita. E io non riesco a smettere di dimenarmi, non sono capace a lasciarlo libero di sgonfiarsi. Voglio tappare quei buchi.E riprendo a chiedervi aiuto, vi imploro, ma niente. Mi ignorate completamente, come se non ci fossi e forse non ci sono davvero o non mi vedete.
- Che succede alla fine?
- Succede che il pallone mi soffoca, mi schiaccia sul mio letto e mi uccide.

Accosto l’auto sulla ciglio della strada.Mi volto verso di lei. Con la sinistra accarezzo Kwak, con la destra afferro il cacciavite da sotto il suo sedile, senza farmi vedere. Lei lacrima, sta piangendo. E’ stato un brutto sogno, anche per una prostituta.

- Cosa significa questo sogno secondo te?
- E’ la tua vita. E’ la voragine.
- Aiutami, ti prego. Non lasciarmi sola.
- Lo sai che non accadrà.

Il cacciavite le colpi la tempia. Un colpo solo, secco. La punta a croce entrò con un po’ di sforzo, ma fortunatamente immaginai potesse accadere e la colpii con violenza.
Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per sempre.

Presi a scavare una fossa in un pezzo di terra della Lecce-Novoli.

Non mi era rimasto più nessuno, solo la violenza, i debiti e i miei pensieri. E uno di questi ripeteva sempre la stessa cosa.
E’ la mia vita. E’ la voragine.

LaBrute. Il gioco per culi pesanti.


Anni fa (non tanti poi) ero fissato con un gioco online di guerra/strategia. Si chiama Ogame e mi ha rubato parte della vita. Poi accadde che un giorno mi svegliai e mi ritrovai più vecchio e fisicamente provato. Per ogame. Per un cazzo di giochino online.
Mi promisi di non giocare mai più a giochi droga come quello e l'ho fatto.
Da poco ho scoperto LaBrute e devo dire che è proprio il gioco che fa per me. Praticamente il massimo dello sforzo è scegliere contro chi far lottare il tuo personaggio e cliccare invio. Poi fa tutto da solo. Botte, calci, armi, superpoteri. Tutto da solo. Tu non tocchi niente, basta con gli sbattimenti delle combinazioni dei tastini per scegliere la supermossa migliore.
Questo gioco è la soluzione: clicchi invio, e combatte da solo.
E' per chi ha il culo pesante insomma. Come me.
O per chi ha un lavoro da portare avanti. Come me.
O per chi è incapace ai picchiaduro veri. Come me.

In giro non si trovano molte indicazioni su questo gioco francese, quindi ho stilato una piccola guida che potrete leggere di seguito:

- Il primo incontro del gioco vi vedrà per forza sconfitti. Questo vi permetterà di diventare "allievi" del Personaggio che avete sfidato. Gli esiti di tutti gli altri incontri sono casuali.
- Per creare il vostro Bruto cliccate QUI e inserite un nick dove dice "TAPE ICI", dopodichè cliccate su "VALIDER". Se non vi fa accedere potrebbe essere perchè il nick scelto è già in uso, in quel caso, sceglietene un altro.
- Il giorno 1 (quando ti iscrivi al gioco) hai 6 combattimenti. Dal giorno 2 in poi hai 3 combattimenti al giorno.
- il "giorno" scade alle 00.00.00. Alle 00.00.01 parte il giorno nuovo.
- se non combatti le tue sfide, *non* le cumuli per il giorno dopo. Perdi l'occasione di combatterle e basta.
- il gioco combatte le sfide da solo. Tu non devi fare altro che "lanciarle" cliccando sul tasto "arene", scegliere il player contro cui combattere e inviare.
- se vuoi combattere contro un utente di cui conosci il link devi cliccare su "arene" e poi su "chercher" e in questo banner devi inserire il nick dell'utente in questione. A questo punto clicchi su "go".
- al link http://hulkspakk.labrute.fr/cellule (dove al posto di "hulkspakk" c'è il vostro nick) troverete il riepilogo del vostro account.
- al link http://hulkspakk.labrute.fr/dojo (dove al posto di "hulkspakk" c'è il vostro nick) troverete il riepilogo dei vostri allievi nella vostra scuola (il dojo, appunto). Questo ha il solo scopo "espositivo".
- se un nuovo utente clicca su sul link http://hulkspakk.labrute.fr/ (dove al posto di "hulkspakk" c'è il vostro nick) diventerà vostro allievo.
- ogni nuovo allievo acquisito vi darà un Punto Esperienza.
- ogni livello conquistato da un vostro allievo vi darà un Punto Esperienza.
- ogni vostra vittoria vi darà un Punto Esperienza. Se l'utente contro cui avete combattuto è del vostro livello o di massimo due livelli inferiori, la vittoria dello scontro vi darà due Punto Esperienza. In questo caso la sconfitta vi darà un Punto Esperienza.
- I punti esperienza, una volta accumulati a sufficienza, vi faranno passare di livello.
- passare di livello permette di acquisire premi del tutto casuali quali superpoteri, armi, animali, caratteristiche varie.

Ovviamente se volete giocare mi farebbe piacere per i motivi suddetti avervi come allievi, nel mio superfantastico Dojo che conta oltre 200 player. Per essere dei miei, cliccate QUI.

venerdì 19 settembre 2008

La Violenza come mezzo di Comunicazione [Parte Tre]


"Mia madre metteva su Michelle, si metteva sul divano e mi osservava, col Meccano, costruire l'Eiffel. Ma, arrivato in cima, mancava sempre un dado. Non me ne capacitavo, sbriciolavo l'autostima, e liberando le dita dal peso delle brugole, scappavo con le nuvole del senso della mia vita." [Dargen D'Amico - Al Meccano]


Nota: questo post è la terza parte di un post lungo non so ancora quanto.
Se volete capirci qualcosa e non avete ancora letto le "precedenti due puntate" vi consiglio di leggere PRIMA la "Parte Uno" e la "Parte Due" e POI la Parte Tre, che è questa che state leggendo in questo momento. Se vi pesa il culo farlo non c'è problema. Vi voglio bene lo stesso.



Ci fermammo a prendere una birra, una gran bella rossa pastosa, e una Kwak ora che Kwak era semplicemente "pastosa" e ben poco gran bella rossa, sarebbe stata l’ideale.
Poi ci scambiammo i numeri di telefono, ci promettemmo di risentirci per qualche altra cavalcata e ce ne tornammo a casa, ognuno con la propria solitudine, come Bill Bixby nella serie televisiva de L’Incredibile Hulk, sporchi, coi pantaloni strappati, su una strada desolata.

Mi svegliai con un cerchio alla testa grande quanto la Capanna dello Zio Tom, ma il problema non era tanto questo quanto il fatto che accanto a me, nel letto, non c’era mia moglie, nella camera di là non c’erano i miei figli e nella cuccia non c’era il mio cane.
Non c’era nemmeno "una camera di là" e non c’era nessuna cuccia.
Se è per questo non avevo mai avuto moglie, figli e cani propriamente miei. Ero solo me stesso, un 29enne di Lecce un po’ sbronzo.
E con le mani ancora sporche.

Presi il foglietto con su scritto il numero di telefono di Kwak e lo gettai nell’immondizia, andai all’auto e la lavai dal sangue, aprii il portabagagli e spostai il piccone un po’ più in là, ci misi dentro i miei vestiti laceri, tirai fuori cacciavite, pinza e nastro isolante e misi in moto.
La mia coscienza non si fece più sentire per un po’, probabilmente inebetita dai miei movimenti e ancora vittima delle legnate prese la sera prima. C’erano anche possibilità che io l’avessi uccisa e a questo pensiero iniziavo a sentirmi meglio.
Se avessi ucciso la mia coscienza, mi dicevo, avrei potuto essere più libero, essere capace di muovermi liberamente, avvicinandomi a quella posizione di potere cui ambivo e allo stesso tempo allontanarmi dalla povertà, dalla voragine di debiti che avevo creato, voragine che risucchiava tutti i miei risparmi, i miei sforzi, i miei sacrifici, i miei sogni e le mie ambizioni.
Tutto quello che avevo era la parola e iniziavo a convincermi che il potere posseduto dalla parola, non avesse nulla a che fare col potere contenuto in un cazzotto bene assestato.

Mentre in piena campagna smontavo lo sportello del passeggero regalandogli nuove interessantissime modifiche, i miei pensieri si alternavano. Pensavo a mio padre, che un bel giorno decise di modificare la 127 Panorama di famiglia. Non pensavo all’epoca che ci volesse così poco per disintegrare un’automobile, o meglio, sapevo già, chiaramente, che un incidente contro un ulivo neanche tanto secolare può fare sufficienti danni da rottamare un’auto, o che investire un canguro in Australia adduce alla macchina danni non coperti dall’assicurazione.
Quello che non sapevo è che un uomo solo può apportare tante di quelle inutilissime modifiche tutte da solo, tutte in una mattinata, tutte senza un perchè, da distruggere di fatto un'automobile.

L’operazione di mio padre, visibilmente posseduto dal Transformes alieno di Optimus Prime, consisteva nell’incrociare, a suo dire "geneticamente", una 127 Panorama dell’86 ad una MiniMinor dell’84, e vedere che cazzo ne potesse uscire fuori.
Non so cosa esattamente si aspettasse lui, ma quello che ne uscì fuori era ovviamente una merda.
Una merda cagata di gusto dal Commander a.k.a. Optimus Prime, per la grande gioia dei Decepticon tutti. Il sedile posteriore era scomparso in favore di quello della MiniMinor, rendendo impossibile sedersi sia a gente con un grande culo, sia a gente troppo alta. Per esempio, io non sono mai stato particolarmente fortunato, quindi niente problemi di culo, ma per alto sono alto e sui sedili di dietro non mi ci potetti mai più sedere.
Anche i sedili davanti erano stati cambiati con quelli della Mini. Qui apparentemente non ci furono grandi problemi, ma nemmeno grossi vantaggi. Solo tempo dopo mi accorsi che il tappetino sulla pedana della macchina era messo lì per coprire gli immensi buchi rimasti nell’operazione di scambio dei sedili. Il saldatore può essere il migliore amico di un uomo di cinquant'anni, ma senza stagno è come una rana senza Giovanni.
O come un pesce fuor d'acqua.

Il volante fu cambiato con quello della Mini, decisamente più piccolo di diametro, facendo sentire ancora di più l’assenza del servosterzo quando la macchina era in movimento.
I buchi sotto ai sedili potevano anche essere ignorati a motore spento, ma la cosa si faceva impensabile a motore acceso, quando il fumo scappava dal tubo di scappamento, a causa dei fori apportati alla marmitta, fatti per rendere più anni ’70 l’auto/chopper, ed entrava in macchina favorendo sonnolenza prima, e morte per gas di scarico poi.
Ai miei reclami su questi reiterati tentativi di omicidio, mio padre rispondeva con un calmissimo "Entra nella macchina perché scappa. E scappa dal tubo di scappamento".
Per lui era normale la cosa.
A me faceva solo incazzare.

Tutto questo faceva il paio con il pensiero alterno: i potenti sono tali perché gli altri, il popolo, la società, è troppo impegnata in altro. A lavorare, a mettere da parte spiccioli, a sposare le figlie e a sgravare bebè.
A guardare il dito che indica la luna.

Io mi ascoltavo il grido mentre sfondavano la cruna del mio culo.
Mi avvicinai al lunotto posteriore e aprii il portabagagli, ne presi del nastro isolante che avevo in una cassettina e ritornai allo sportello destro. Era un bel pacco da 6 rotoli presi all’IperCoop, sezione BricoCenter. Gommosi, incollosi, ed economici.
La cosa più importante quando maneggi nastro isolante è non esporlo al sole: lo squaglia e rende davvero fastidioso maneggiarlo. Perde colla appiccicaticcia come un cazzetto annerito di un settantenne che spruzza ancora, ma non più a comando.
Il nastro isolante rimasto al sole troppo a lungo, sulle mani, da la stessa sensazione che ha un uomo quando lava il seme bambinesco dalle mani con acqua fredda. Sborra.

Tornai anche ai miei pensieri.
I potenti non hanno cuore. Non hanno passione per le cose, raccontano balle sulla famiglia, come un peccatore che si confessa a un prete, puniscono i torti con il sangue e il sangue con altro sangue, riempiendo libri di politica sociale e aziendale, mentre tutti restano inebetiti senza neppure accorgersi che prologo ed epilogo sono uguali per tutti, per scelta.
Loro.
I potenti sono violenti.
I potenti vengono ascoltati.
I potenti sono Leader.
La violenza è un mezzo di comunicazione ed è più potente della parola.

Per sempre, da ora, sarei stato violento quindi in grado di fare di tutto e diventare così quel leader capace di grandi cose, potenti magnificenze.
La violenza è un’arma più efficace della parola.

mercoledì 17 settembre 2008

Ordinanza anti-bivacco e anti-bighellonaggio.

"Danno la caccia ai figli disobbedienti, il match è zero a uno e pochi dubbi sui vincenti" [Colle der Fomento - Un Grosso Vaffanculo]


Il sindaco di Lecce, Paolo Perrone, ha emesso qualche settimana fa un'ordinanza per tenere più pulita la città da quei fannulloni bastardi che bevono birra e hanno atteggiamenti che "potrebbero sfociare in veri e propri atti di microcriminalità".
Potrebbero.
Dato che potrebbero sembra opportuno porre un rimedio preventivo: una bella ordinanza anti bivacco, anti accattonaggio e, quella che mi piace di più, anti bighellonaggio.
Anti bighellonaggio.
Suona meglio dei Rolling Stone.
Perchè, diciamolo, faranno paura gli assassini, gli stupratori, i rapinatori, i topi d'appartamento, i ladri, i mafiosi. Tutti sti stronzi, è vero, mettono il terrore, ma chi di noi non si è mai preso uno scago da spavento quando per la strada ha incrociato anche solo per sbaglio un *bighellone*?

Io personalmente mi scagazzo sempre al pensiero di un ragazzo che bighelloneggia o che bivacca nella mia città.
Per non parlare del terrore che mi provoca un accattone.
Potrebbe sfociare in microcriminalità.
Mica cazzi.





Ho paura è vero, ma anche speranza. Perchè so che ci sono loro a proteggermi. Non sono supereroi muscolosi e con costumi sgargianti, è vero, ma non hanno nulla da invidiargli. Con delle bellissime uniformi blu, età anche di 60 anni, pelle flaccida, capelli brizzolati, a volte magrissimi, altre ciccionissimi, pistoletta al fianco e palle a terra, ci sono loro: i poliziotti.
Sono lì per proteggermi.
I poliziotti vengono pagati con i soldi dei contribuenti, quindi anche con i miei soldi, ed è giusto così, perchè sono lì per difenderci dai criminali, dagli assassini, dal male.
E dai bighelloni ovviamente.

Ed è questo che è accaduto l'altra sera, in via Palmieri, a Lecce.



Finito di lavorare sono andato a prendere una birra in un locale stranoto in città, ero in compagnia e c'era gente. Una quarantina di persone, forse meno, non di più. Bevevo la mia birra e me ne stavo tranquillo, ma per pura ingenuità, perchè non mi ero accorto di una cosa gravissima: quella gente non era gente normale. Erano dei bighelloni!
E qualcuno a ben pensarci stava bivaccando.

Per fortuna sono arrivati loro, i poliziotti.
E come nei migliori fumetti Marvel, arrivano da tutti i lati della strada: da destra da sinistra e frontalmente. Un supergruppo di superpoliziotti che manco I Vendicatori di IronMan e Thor.
Una roba che Distretto di Polizia 8 al confronto sembra una serie televisiva sulla polizia italiana.



Cinque pattuglie di Polizia. Una pattuglia dei Carabinieri.
Ipotizzando due agenti per macchina (ma volendo alcune pattuglie ne ospitano anche tre), avevamo dalla nostra ben 12 Vendicatori pronti a spaccare il culo a questi fautori del bivacco che, ricordiamolo, avrebbero anche potuto pensare di farsi venire in mente idee del genere di fare qualcosa che sarebbe potuto scaturire in atti simili ad altri atti di microcriminalità.
Anche perchè tra loro c'era qualche negro.

12 agenti. Dodici.
DODICI agenti per controllare i documenti a trenta stronzi.
Potete giurarci che mi sentivo al sicuro.
Solo che mi confondono per uno stronzo bighellone del cazzo e controllano i documenti anche a me. E ok, saranno dodici, ma "quantità" non è sinonimo di "sveltezza" e quindi impiegano per controllarli una cosa come un'ora.
E se devo dirlo non erano esattamente come i Vendicatori anzi, quando mi hanno chiesto i documenti mi sono sembrati più stronzi dei Fantastici Quattro. Roba che Reed Richards al confronto è il tuo migliore amico.

Come sono arrivati sono stato il primo (quando ti dice culo) a cui hanno chiesto il documento.

...



...



...



Ok, ok, non so mentire, sono stato il secondo.
Il primo a cui lo hanno chiesto è stato William, un mio amico. Ma sono certo che se non fosse stato negro avrei vinto io.
Ma i poliziotti non sono razzisti, sono lì per proteggerci e vengono pagati con i soldi dei contribuenti, quindi sono certo che si è trattato di una casualità e che con i loro modi affabili mi avrebbero ancora una volta dimostrato che hanno un profondo rispetto dei cittadini (a patto che non siano dei bighelloni, sia inteso).
La discussione è andata all'incirca così:

Poliziotto: Documenti o questura? Decidi.
William: Documento.

Devo ammettere che avevo sentito la risposta di William e così ho potuto rispondere esattamente anche senza aver studiato, come a scuola e come a scuola sono riuscito a farla franca, dato che il poliziotto non si è accorto che ho copiato.

Ah, pagare le tasse, che gioia.

Alla fine della fiera questi 12 Apostoli hanno controllato i documenti a tutti e mi è rimasto un pò il dubbio che ai loro occhi anche io fossi un bivaccone bighellonante fattapposta per la quale, ma è capace che mi sbaglio.
Alla fine della fiera ho fatto con il cellulare qualcuna delle foto che vedete nel post, giusto per darvi il gusto di contare le auto.
Alla fine della fiera è stata sollevata UNA multa di 55.00 euro a un negro per non so quale motivo. Ai suoi commenti con i quali appellava a "razzisti" i poliziotti, questi rispondevano che era una casualità, poteva capitare a lui come a un italiano.

La vita è questione di culo signori.
C'è chi nasce Vendicatore e c'è chi nasce negro.






Nota per i disabili: "negro" in questo pezzo è usato volutamente ma con un significato sarcastico.
Nota2 per i disabili: anche "disabili" in questo pezzo è usato volutamente ma con un significato sarcastico.

domenica 7 settembre 2008

La Violenza come mezzo di Comunicazione [Parte Due]



"Ho perso l’attimo. Non ho più modo di tornare indietro, manco se ne parla, resta solo polvere, devo mangiarla" [Gruff]

Nota: questo post è la seconda parte di QUEST'ALTRO.
Se volete capirci qualcosa, leggetelo. Il precedente post dico, e poi questo.
No, non quello *immediatamente* precedente. Esatto, non quello su Lloyd, ma quello segnalato poco fa, che poi è il precedente del precedente del precedente. Leggetelo.
Ma leggete anche questo.
E magari commentate che lurkare fa diventare ciechi.


La Violenza come mezzo di Comunicazione [Parte Due]

E' dai tempi del mio personalissimo miglio verde, strada che percorre gli Ex Palazzi Magno e Porta Napoli passando per il malfamatissimo rione San Pio X, che mia madre mi riempie la testa, anzi, mi riempie la coscienza, di cose che mi hanno frenato la vita.
Sii educato, non creare problemi, porta rispetto, aiuta la gente, non attaccare briga, evita le bravate, stai lontano dalla cattiva gente, non drogarti, studia tanto, non essere violento.
E ad ogni nuova condizione che poneva, la mia coscienza cresceva, si nutriva e si manifestava, e guarda adesso cosa è successo.
E’ grassa da fare schifo ed è pure morta.

Ad ogni nuova condizione un nuovo freno motore rallentava il mio successo e mi allontanava da esso, impedendomi di diventare qualcuno di importante, di conosciuto, rispettato e temuto. Un bravo leader che avrebbe potuto cambiare le cose, per andare incontro proprio a quei concetti di umanità che mi hanno spaccato le palle per tutti gli anni delle elementari delle medie e delle superiori, in perfetta sincronia con l'educazione che ricevevo da mia madre, pasto per la mia coscienza.
Tutte merdate che mi entravano nel cervello come spyware nel pc, e avevo bisogno proprio di una bella formattata per toglierle via.
Formattata che avrei avuto quella stessa notte, al quarto giro di Kwak.

Lei era una gran bella rossa belga, pastosa, la quale si era sposata benissimo con la mia voglia di scopare.
Me la stavo sbattendo in macchina, sul sedile posteriore, lei accovacciata in un angolo in una posa doggy style che avrebbe reso orgoglioso Snoop Doggy Dog e io sopra di lei, nudo fino alle palle ciondolanti, vestito soltanto dal mio nuovissimo cappello western alla Morgan Freeman in Gli Spietati, sguardo da duro e pisello incazzato che per ovvie ragioni lei non poteva vedere. Lo sguardo da duro perché era girata in avanti e il pisello incazzato, beh, quello non lo vedeva ma pareva lo sentisse benissimo.
Mentre facevo zum zum realizzavo, distratto da un sibilo che mi oscurava il cervello, tre cose:
1) non sapevo nemmeno come si chiamasse la rossa e per convenzione e associazione mentale decisi di darle il nome Kwak.
2) forse quello non era il quarto giro di birra, ma il sesto.
3) Il piccione che ha cagato sul lunotto posteriore, che da quella posizione riuscivo a vedere distintamente, doveva avere un culo più grosso di Kwak, la mia nuova partner.

Poi realizzai cosa fosse quel sibilo.
Era quella cazzo di coscienza che faceva monologhi imbarazzanti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
E più cercavo di ignorarla più si faceva più chiara la sua voce. Alla fine dovetti mettere il trombatore automatico e sbrigare un paio di concetti con la mia coscienza.

- Salve uomo.
- Che vuoi?
- Sai chi sono?
- Si. Una scassamaroni.
- E’ quello che pensi anche di tua moglie?
- Non nominare mia moglie. Se la nomini tu, mi sembra merda.
- E’ normale, perchè sei tu la merda. Hai una famiglia, una moglie e due figli.
- E tu hai una capacità innata di venire qui ogni volta che mi sto divertendo.
- E’ che il tuo concetto di divertimento è un continuo peccare.
- Ascolta, ora come vedi ho da fare. Ne parliamo quando ho finito, ok? Ne parliamo sempre quando ho finito.
- Lo so, ed è per questo che ti vengono quelle idee assurde. Questa volta ne parliamo prima. Anzi durante, dato che già stai tradendo.
- Non sto tradendo, mi sto allenando.
- Stai scopando con una sconosciuta. Non sai nemmeno chi sia.
- Non è una sconosciuta. Si chiama Kwak.
- La tua famiglia ti sta aspettando a casa.
- Ti ho detto che ne parliamo dopo.
- No, adesso.
- No dopo.
- Adesso.
- Non rompermi i coglioni, ho detto dopo.
- Adesso!
- Mi stai facendo innervosire.
- Meglio, così te la smetti.
- Giuro che se non sparisci ti riempio di pugni.
- Non lo faresti mai.

Quando ebbi finito di riempirla di pugni tornai nella realtà.
Kwak era davanti a me, nuda, vestita di un sangue che non era il mio, inquietantemente ed eccessivamente somigliante a quello che vestiva le mie mani come guanti da motociclista degli anni ’70. La sua faccia non era più quella di un bel troione che ti arrapa al primo sguardo, e fa precocemente eiaculare la gente media, al secondo.
Era più che altro la faccia di un porco arrosto, con tutto quel grumoso sangue mischiato a spezie di cui ignoro il nome. Il sangue che la ricopriva in alcune zone prendeva coloriti indigesti, quasi color panna, la stessa tonalità che aveva il mio cazzetto aggrinzito, a riposo come un guerriero dopo la lotta.
I capelli erano impiastricciati e una mia mano scoprii essere ancora lì, tra i riccioli, a muoversi ferocemente in alto e in basso, in movimenti che poco avevano a spartire con l’idea di effusioni scambiate tra amanti, che avevo finto fino a quel momento.
E fu proprio in quel momento che nella mia testa arrivò l’audio di un film horror e con sé portava suoni interessanti che un po’ mi spaventavano e un po’ mi eccitavano. Urla strazianti che erano di Kwak.
L’altra mano, violentemente, mi masturbava.

C’era poco da fare, avevo paura.
Ora lei mi avrebbe denunciato, mi avrebbe rovinato la vita, mi avrebbe messo nei casini con mia moglie, non mi avrebbero più permesso di vedere i miei figli. Il mio cane.
E quel che era peggio era la terrificante verità che mi si schiariva in testa: aveva ragione la mia coscienza.
L’istinto di scappare prendeva il sopravvento, quando, ancora spappolandole quei ricci ormai sfatti, ascoltai meglio quelle urla che non erano di dolore, ma di piacere e ad ogni "ahhhhhh..." seguiva un "...ncoraaaa!".
Ancora.
E ancora.
E ancora.

Dopo che raggiunse il suo terzo orgasmo, ci mettemmo a parlare. Mi raccontò del suo compagno, del fatto che tra loro il sesso era morto, e che per questo faceva la prostituta.
Cazzo. M’era completamente sfuggito questo dettaglio.
E pensare che l’avevo anche già pagata.
Mi disse che a lei piaceva molto farlo forte, con violenza e che più violenza c’era più le piaceva.
Che cazzata, pensai.
- Ma scusa, come fa a piacerti?
- È che ci sono abituata.
- Perché, ti picchiano spesso?
(Intanto mi pulivo dal sangue e lei si risistemava i riccioli)
- No, nessuno mi picchia. Nessuna violenza. Non fisicamente almeno. E’ che mi sento violentata dalla vita, dal mio compagno, dai clienti. Dallo stato, dalla società, dalle banche, dal Vaticano. E francamente non ne posso più.
Pensai subito a quello che avevo, una voragine, e le chiesi cosa avesse lei.
- Niente. Non ho niente.

La invidiai. Lei non aveva niente, aveva già raggiunto lo zero assoluto, poteva ricominciare.
Io invece ero ancora vittima dei Potenti.

Mi fece una domanda che aveva un non so che di inquietante.
- Hai mai visto Colpo di Fulmine?
- Il programma con quella tettona bionda?
- Si quello. Lo hai mai visto?
- Certo.

Bella merda, aggiunsi.
- A me piaceva. Ho sempre sognato un principe azzurro che mi salvasse da questa vita. Un uomo pronto, deciso, che non si lascia impressionare da nulla, che scopa da dio e mi tratta come piace a me, con quel rispetto che io decido essere tale.
- E tu hai sempre sognato un principe azzurro?
- Si
- Non si direbbe...
- Che vuoi dire?
- Bè, è vero che col lavoro che fai vedi tanta gente, ma cercare il principe azzurro in un’alcova di segaioli frustrati avrà possibilità pari a zero. A meno che lui non abbia davvero un colpo di fulmine per te.
- Io credo di averlo trovato.

Le sorrisi.
Dio, che idiota.

venerdì 5 settembre 2008

Organizzare un incontro con un autore



"colle der fomento con il rap, suona + forte delle bombe (le bombe!)
sul classico originale boom bap, nasce dal niente e si espande (si espande
!)" [Colle der Fomento]


Tra qualche giorno, il 12 Settembre, avrò l'onore (oltre che l'immenso piacere) di ospitare in negozio David Lloyd.
Quando lessi per la prima volta V For Vendetta ebbi la sensazione di essere stato colpito da un mattone. Seriamente, la mia vità cambiò.
V For Vendetta è un Fumetto (o graphic novel, o romanzo a fumetti, o volume, chiamatelo pure come ve lo fa rizzare di più) che lascia il segno e David Lloyd è stata la mano e parte della mente che lo ha concepito.
Una decina di anni dopo, so che tra una settimana lo conoscerò e potrò avere il piacere di scambiarci quattro chiacchiere.

Quando informo le persone che vengono a fare i loro acquisti in fumetteria dell'evento, spesso è capitato che mi facessero le domande "come hai fatto a beccare Lloyd?" e "come sono i suoi fumetti?"

Partendo dal presupposto che invitare un autore è più complesso di quanto si possa immaginare e che (per quella che è la mia esperienza nel sud italia), per ogni autore che ospito ce ne sono due che rimandano all'infinito o che non danno disponibilità, potrei dire che "contattarlo" è il minore dei problemi.
Insomma, con tutto rispetto, non è che stiamo invitando il presidente del consiglio.

Qui parliamo di fumetti, non di cabaret.
I problemi sono la gestione e l'organizzazione vera e propria dell'evento.

Non so esattamente come funziona agli incontri con autori veri, di libri veri, nelle librerie vere, ma in fumetteria, il fumettaro deve fare un bel pò di cosette da solo, prima della fatidica data dell'incontro. Diciamo pure, tutto.

Questo "tutto" va dal contatto con l'autore, alle pubbliche relazioni con esso, con l'editore o il distributore che fornisce i volumi, al pagamento della spedizione degli stessi, alla realizzazione grafica di una locandina, alla sua stampa e distribuzione in città. Deve preparare comunicati stampa, articoli per giornali locali (qualora ne trovi interessati a darne notizia) e divulgarli. Deve scrivere qualche recensione dei volumi dell'autore che viene, il che lascia intendere che prima deve leggerli e che possibilmente devono piacergli. Deve condurre discussioni su forum, blog, siti e quant'altro possa dargli una spinta ad alzare l'entusiasmo che si crea intorno alla venuta del Dio. Deve pagare il viaggio, il vitto e l'alloggio dell'autore e infine, lavorare diverse ore più del normale per far quadrare il tutto.

Tutto questo, ovviamente, ha una spesa.
Credo che sia la prima risposta ad un'altra domanda che in genere sento o leggo in giro, ovvero "come mai incontri con autori di fumetti non se ne fanno mai (o quasi)?".

Complessivamente un autore *quando non chiede il gettone di presenza* (nel qual caso non sarà ospite nella mia fumetteria^^) costa dai 300 ai 500 euro. Alla fumetteria.
A meno che l'autore non sia residente in città, ovviamente, caso che comunque al momento non prenderemo in esame.
Con queste premesse è facile dedurre che per (semplicemente) rientrare dei soldi spesi bisogna fare un incasso notevole che con dei margini che oscillano dal 35 al 45% non è facile raggiungere. Soprattutto quando l'autore che si ospita ha da presentare un solo volume e magari abbastanza economico.
Facciamo un esempio: l'ospite del mese sarà l'autore X che presterà il suo volume Y ad un prezzo di 10 euro (prezzo decisamente economico). Ipotizziamo che questo autore è costato come gestione (spesa dell'acquisto dei suoi fumetti non presa in considerazione) 300 euro, ovvero la cifra più bassa che abbiamo stimato. Ipotizziamo anche che ogni suo volume ci costa il 55% del prezzo di copertina e che quindi a noi resta il 45% dei 10.00 euro (quindi lo sconto migliore).
Solo per raggiungere il pareggio dovremmo vendere 67 copie del volume.
Utopia, specie se l'autore è un esordiente o (incredibilmente) un Maestro.

67 copie di venduto ad un incontro sono un successone, sia inteso, ma se l'albo costa solo 10 euro è un fallimento.
67 copie vendute quando un autore presenta solo UN fumetto lascia presumere la presenza in negozio di almeno 67 persone interessate che hanno poi concretizzato l'acquisto.

Un autore con un solo albo da 10.00 euro non si invita in negozio o al 95% la fumetteria si ritroverà a penzolare dalla parte del rosso. E in Italia, ultimamente, questo non è un bell'affare. E nemmeno un bel colore.

Per avere un "perchè" a livello economico, un incontro deve far incassare (lordi) almeno 800.00 euro. Partendo da questo presupposto, o abbiamo 80 persone che comprano 80 copie da 10.00 euro, o dobbiamo:

a) alzare il limite del prezzo di copertina
b) presentare più proposte dell'autore ospitato
c) entrambe le soluzioni

Proporre opere con un prezzo di copertina meno vantaggioso per il cliente aiuta notevolmente la riuscita dell'operazione, presentare più opere dello stesso autore permette all'afiocionados più affezionato di comprare più di un'opera (che non sia un doppione), indicativamente raddoppiando l'incasso, ma attuare entrambe le soluzioni va da sè, è la scelta migliore.

Un prezzo valido per il fumetto da presentare è di 14.00 euro.
14.00 euro sono il passo immediatamente precedente, nell'ottica attuale del lettore di volumi, al fumetto "caro". A 14 euro lo vendi, già ai 15 diventa complesso, da 16 in sù è un casino.
Il potenziale complessivo che le opere devono raggiungere è di 40/45 euro, spalmati su 2 o, meglio ancora, 3 opere.
All'incontro di venerdì prossimo, con David Lloyd presenteremo, guarda un pò, 3 opere dal prezzo complessivo di 42 euro. Le cose dovrebbero andare bene anche perchè il nome potente dell'autore, l'entusiasmo creato intorno all'evento, l'informazione data e il pubblico sensibilizzato tra la clientela, non lascia eccessivi dubbi in proposito. La presenza tra gli ospiti di un nome potente, tuttavia, potrebbe creare problemi gestionali da non sottovalutare: alta presenza che potrebbe portare a caos, opere dell'autore già in possesso dei presenti. Da successo annunciato, ospitare un grosso nome potrebbe trasformarsi in una semplice (o magari non voluta) operazione di lustro.
Quelle cose della serie "sono figo perchè ho conosciuto Lloyd". Insomma, aria fritta.


Per creare entusiasmo nel pubblico è importante parlare (bene) dei lavori dell'ospite e dello spessore dello stesso. Per farlo diventa importante credere nel prodotto, quindi leggerlo e apprezzarlo. Per evitare un flop e fare in modo di non perdere la faccia di fronte al lettore è *fondamentale* che i fumetti presentati siano validi.
E' per questo che sono sempre entusiasta dei miei ospiti: perchè li stimo come fumettisti e so che qualcosa hanno dato al fumetto. O quanto meno a me.

Se una fumetteria ospita un autore, molto probabilmente questo è apprezzato dal fumettaro. Oppure (tra le altre cose) sono amiconi :)

In conclusione, se la vostra fumetteria non fa incontri con gli autori, non prendetevela. Non sono loro che sono incapaci.
E' chi li fa che è avanti.


mercoledì 3 settembre 2008

Lupin in Italia. Uno. Disamina di un personaggio Atipico. E anche di Lupin.


"Ladro una volta, ladro per sempre" [Lupin III]
"Sei povero? Colpa tua! (05/09/01)" [Silvio Berlusconi]


Tutti noi sappiamo chi è Lupin III.
Lupin è un ladro, è *il* ladro. Il ladro gentiluomo per l'esattezza.
Lupin nasce nel 1967 per mano di Monkey Punch e racconta le avventure di un furfante, un criminale e ladro di un certo spessore che ruba (e voglio dire...), corteggia le donne, è sempre sfacciato, possiede infinite attrezzature che gli permettono di sfuggire alla legge, la fa sempre franca.
Lupin dovrebbe essere un personaggio odioso, perchè è corrotto.
Perchè farebbe di tutto per avere il calore di una donna.
E perchè è un ladro.
In italia poi, dovrebbe essere ancora più odiato perchè è straniero ed è risaputo che se ti ruba qualcosa uno straniero non è perchè è un ladro, ma perchè è, appunto, straniero.

Invece Lupin piace, anzi di più, è adorato.
La gente si tatua Lupin sulle più svariate parti del proprio corpo, compra gadgets, colleziona i suoi fumetti, fa sempre parallelismi con questo o quel personaggio famoso.
Come sto per fare io.

Tutti noi sappiamo chi è Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi è un ladro, è *il* ladro. Il ladro gentiluomo per l'esattezza.
Berlusconi nasce nel 1936 per mano del Signore dal quale egli stesso afferma è "unto" e racconta le avventure di un paese zeppo di comunisti agli italiani, è un criminale e ladro di un certo spessore che ruba (e voglio dire...), corteggia le donne e dopo qualche pompa le fa ministre delle pari opportunità, è sempre sfacciato, possiede infinite attrezzature che gli permettono di sfuggire alla legge, possiede anche la legge e grazie ad essa la fa sempre franca.
Silvio Berlusconi dovrebbe essere un personaggio odioso, perchè è corrotto.
Perchè farebbe di tutto ad una donna che gli abbia dimostrato il calore.
E perchè è un ladro.

E invece Silvio Berlusconi è adorato. Da se stesso tanto per cominciare, e dalla folla italica che per una interessantissima combinazione astroppositiva ha rieletto il suo governo una francata di volte.
Una francata sono anche le volte che Lupin III è andato in onda dagli anni '80 ad oggi.
Sulle reti Mediaset, che sono di Silvio Berlusconi.
Affascinanti parallelismi.

E Lupin III è adorato dalla folla in un paese governato da un impunito ladro gentiluomo che come Lupin si fa vanto di aver oltre 2000 (duemila) capi di imputazione.

martedì 2 settembre 2008

La violenza come mezzo di comunicazione [Parte Uno]


"sembra che qualcuno sia felice, vi è un gran casino in quei posti senza luce ma chi parla serio lo fa sotto voce. Regole urbane di sempre, di ogni dove, nel piu vivo comportamento animale istintivo. E' una vita in fuga dove non sai la strada cosi speri che per un po non succeda nulla" [Fluxer - Gruff]


Esatto è così.
Lei non ci credeva, ma io insistevo. Mi parlava di come non fosse possibile, di come fosse fuori dalla realtà il mio discorso: insensato, inesatto, inetto.
Intanto però continuava ad ascoltarmi.
Fuori dalla realtà, ripetei io.
Come se un dialogo tra noi due non fosse una cosa già stramba da sé. Come se potessimo permetterci il lusso, arrivati a questo punto, di stare lì a guardare dettagli come "la realtà" e "la coerenza".

Fu come un'illuminazione la mia, ma non robe alla "colpo di fulmine" quando avevo 15 anni, e quel troione con le menne da 5 chili a pezzo se ne andava sballonzolandole in giro, ripresa da una telecamera ingrifata, per quel programma che improvvisava questi fantomatici colpi di fulmine tra teenagers.
Com'è che si chiamava quel programma originalissimo?
Ah si.
Colpo di Fulmine.

Cazzo che fantasia. Fa il paio con quella vacca di Donna di Beverly Hills 90210.

Comunque dicevo, io a 15 anni li avevo sul serio i colpi di fulmine ed erano tutti per lo stesso genere di ragazza. Quel genere di ragazza che mi rivolgeva la parola.
In genere mi evitavano e questo normalmente mi avrebbe dovuto attristire e invece no, perchè all'epoca iniziavo a pensare positivo, sarà stato per l'influenza Jovanottiana che il pop-rapper-rocker trasmetteva, sarà che ancora non avevo realizzato che non ero alla frutta esclusivamente per una questione di povertà e di inflazione, sarà per quello che volete, ma pensavo positivo.
E vivevo queste negazioni con positività, convincendomi che evitare una persona è già un pò considerarla. Quindi è già buono, mi dicevo.
Quando camminavo e vedevo una ragazza che mi piaceva, estirpavo dalla mia gola un gran bell’accenno di saluto e lei, cazzo, mi evitava, passandomi accanto senza ricambiare.
Se mi avesse completamente ignorato, mi dicevo, mi si sarebbe sbattuta contro, il che era un concetto estremamente differente da quello che più avanti negli anni avrei dato alla parola "sbattere".
Essere evitato, secondo la mia rosea equazione della vita, era meglio che essere ignorato.
A vederla oggi mi sembra la stessa differenza che c'è nello schiacciare un fagotto di merda sciolta e inciampare su un avambraccio di scimmia cagato da un obeso.

E poi il troione con le zinne da competizione non mi permetteva di vedere mai in faccia i contendenti all'amore. Ero troppo preso da quel budino gigante che avrei tanto voluto affogare nel caffè.
Alessia Marcuzzi, la conduttrice, l'avrei affogata e basta.

E' che detestavo Colpo di Fulmine, ma mi piacevano i colpi di fulmine, quelli che tanto si assomigliavano alle illuminazioni che di tanto in tanto avevo. Come l'illuminazione che mi portò ad una lunga digressione con la mia coscienza e la mia falsa conoscenza. Un'illuminazione che mi portò ad un cambiamento radicale, e infine, a un omicidio.



Tutto iniziò con una piccola riflessione.
Ero preso dal mio dafare che, brevemente, consisteva nello svegliarmi, andare a lavorare, darci dentro come un matto, scolarmi una birra a sera e andare a casa a dormire, per ricominciare il giorno dopo sempre un pò più stanco. E invecchiare.
Pensai che c'era qualcosa che non andava. Non mi andava di dare al caso la responsabilità di scelta di quella che era diventata la mia vita: un viavai dal lavoro, senza scopo. Un rincorrere un pareggio dovuto alla crisi, fare abbastanza soldi da poter pagare i debiti, raccogliere abbastanza monetine da un euro da gettare giù, in quel vortice che ho creato lavorando, nella speranza che un giorno sia completamente pieno e mi conceda il piacere spicciolo di poterci camminare sopra senza sprofondarci.
Per poter ricominciare da capo, da zero.

Eccola la piccola riflessione: lavorare una vita nella speranza di avere zero.
Era agghiacciante, spaventoso.
Finito di lavorare andai a prendermi una birra.
Una lunga e fresca birra. Il miglior mezzo litro che quel dio abbandona pargoli abbia mai concepito. Capace di reggergli la partita, solo il mezzo litro di piscio che regalai di lì a poco ad un cesso ancora abbastanza pulito, il che sincronizzava alla grande, col mondo, il mio orologio interiore che finalmente segnava l'orario esatto: presto.
Effettivamente avrei dovuto capire che fosse presto dal fatto che il locale era ancora praticamente vuoto e che io avevo smesso di lavorare alle 21, ovvero meno di mezz'ora prima della sincronizzazione dell'orologio interiore.
Il fatto è che mi piaceva pensare che tutte queste fossero deduzioni dovute alla mia grandiosa pisciata e alla birra, una Kwak: una gran bella rossa belga, pastosa, con la quale si sposa benissimo il mais tostato.

La bevvi che scese come olio (di ricino) nel corpo di un torturato.
Non mi scendeva invece per niente l'idea di lavorare per non avere nulla in cambio o, peggio, per potermi permettere di ambire allo zero. Alla nullatenenza. All'impattare la sufficienza. Un pò come un cazzetto senza spermini, utile solo a pisciare svariati mezzi litri di birra ormai calda.

Mi guardai intorno, pensai a lungo e mi resi conto che qui tutti lavorano, hanno famiglie, figli, genitori, cani e bestie di ogni tipo da accudire, chi più e chi meno, ma pochi o nessuno si discostava da quello zero assoluto. Perchè ogni cosa, perchè abbia valore, ha bisogno di essere confrontata con un valore massimale a cui fare riferimento. Un valore assoluto ma di natura materiale, quindi niente vaccate religiose o fantascienze simili. Fatti e non pugnette.
E chi è che possiede seriamente questo tipo di valore?
I Potenti. E chi sono i potenti? Il governo. Le banche. Il Vaticano. Che per farla breve, sono tutti quelli che fanno le promesse.

Lei non ci credeva e non ci credeva, ma continuava ad ascoltarmi. E ad intromettersi.

Cosa vuoi fare?, mi chiedeva. Come pretendi di cambiare le cose? Anche se tu avessi ragione il sistema ormai è questo e non basta certo una minchia raggrinzita come la tua per cambiarlo. Non otterresti niente. Continua a fare la tua vita, porta a casa il pane, sfama la tua famiglia, cresci i tuoi bambini. Non metterti in testa di poter cambiare le cose che non ne sei in grado e non hai più 15 anni.

Signori, questa che ha parlato è la madre delle stronzate e del fallimento umano: la coscienza.
Coscienza, questi sono i signori inebetiti dalla vita di cui ti parlavo. Degli zero assoluto. Il piacevole materasso di carne umana che i potenti usano per poggiare grasse chiappe e corpi flaccidi quando vanno a dormire o quando vanno a fottersi qualche spompinatrice con il culo che presto o tardi faranno parlamentare. Rincoglioniti dalla televisione, dai libri, dalla musica, rimbambiti da internet e dalle infinite promesse, e docili come schiavetti mascherati con la loro Mistress.Signori. Coscienza. Voi siete fatti l'uno per l'altra e mi fate entrambi cagare.