"Tu mi dicevi: "Passo da te giusto il tempo del Subbuteo, giusto il tempo di due chiacchiere" e invece tu volevi togliermi il sudore, le scorte, e portarmi sul carro dove è facile incontrare la morte. Tu lasceresti morire Pietro Micca a 3 anni, soffoca da una cicca." [Dargen D'Amico - Sul Carro]
Nota: questo post è la QUARTA parte di un post abbastanza lungo.
Se volete capirci qualcosa e non avete ancora letto le superfantastiche "precedenti tre puntate" vi consiglio di leggere PRIMA la "Parte Uno", "Parte Due" e la "Parte Tre" e POI la Parte Quattro, che è questa che state leggendo in questo momento. Io vi consiglio di farlo, giusto per non farvi perdere troppo tempo...
Rimisi al proprio posto ogni cosa, nastro isolante e pensieri, cacciavite e pinza, panza e sostanza. Ero stanco, poco sbronzo e ne avevo abbastanza e tutto ciò che mi avanzò nel rimontaggio, finì in una scatola nel portabagagli.
Quando ebbi finito, tornai a casa e mi rifugiai nella mia stanza.
Mi resi conto che ora era da un bel po’ che Sua Maestà La Coscienza era sparita, lasciando dietro di se nessuna traccia.
Forse era morta per davvero ed io ero libero di fare minchiate tipo le mie modifiche all’auto, tipo mio padre.
La Coscienza.
Forse anche mio padre l’aveva taciuta.
Quando andai a prenderla da casa, Kwak era più bella della sera prima. Entrò in macchina, arrivammo a destinazione ed andammo dritti al sodo. O almeno ci andai io.
Quell’uovo lo avrei preferito strapazzato, con un po’ di pomodorini schiattati accanto, rucola fresca e olio e origano su una frisa di orzo, bagnata almeno quanto Kwak quando aveva le mie mani addosso, ma lei impazziva per quello sodo e non mi trattenni dal dirglielo strapazzandole le tette. Sode.
E toccandole la patata. Bagnata.
In trattoria facemmo un salto. Con l’asta.
Le uova che prendemmo nella Locanda della Zia Wanda non tardarono ad arrivare.
Non passò molto che prese a piovere, poi la pioggia aumentò di intensità e diluviò. Tuoni e lampi, pioggia e fulmini.Bagnati fradici, dissi "se continua così finisce che fa brutto e piove", lei schiamazzò in una risata tra l’isterico e il divertito, poi mi prese una mano.
Temetti una nuova domanda su quel programma di Italia Uno degli anni ’90 e mi venne un colpo. Di fulmine.
Le uova sode in trattoria puzzavano di loffa lontano un chilometro, un tipo che prese una pizza cipollata mi guardò malissimo, come se l’avessi fatta io. La loffa, non la pizza.
Non feci comunque nessuna delle due e l’odore della cipollata mi ricordava vecchie partite di pallone con gli amici, con le ascelle di tutti vistosamente incazzate col genere femminile.
Quel genere di femmine che non ci rivolgeva la parola, chissà perché poi.
Devo ammettere che a fine serata un pò mi dispiacque fare quanto feci ma non ce la facevo più, e Kwak si stava montando la testa, mentre io volevo montarla e basta.
Una volta in macchina, con una quantità notevole di alcool in circolo e una puzza di loffa che ci appestava il fiato, dopo averla montata come un lego nel circo dell’amore, Kwak respirò a fondo e partì:
- Ho avuto un colpo di fulmine.
- E’ perché c’è il tempo che fa brutto. Vedrai che finisce che piove.
- Ho preso un colpo di fulmine per te, idiota.
- Non scherzare, lo sai che ho famiglia.
- Lascia tua moglie, andiamo via insieme.
- Andare dove?
- Da qualunque parte. Sono stanca di fare questa vita, di fare la puttana, di essere toccata da tutte quelle mani luride, tutta questa gente che si approfitta di me, della mia situazione. Godono tutti tranne me, e a me non resta che quella roba appiccicosa da lavare via con un klinex comprato in confezioni giganti. (Sperma) Sono stanca di piangere. Io ti amo. Vieni via con me, lascia tua moglie, fanculo ai bambini, li hai sempre detestati. E poi tua moglie non la ami o non verresti a letto con me. Puoi portarti dietro il cane se ti fa piacere, ma andiamo via ins...
Il pugno chiuso stringeva il frontalino estraibile dell’autoradio, che fino a un attimo prima suonava "A like Rolling Stone" del buon Bob Dylan. Ad alcuni non piace Bob Dylan, io avevo il sentore che a Kwak non le sarebbero piaciuti più neppure i frontalini estraibili.
Fatto sta che il pugno farcito di autoradio Audiola la colpì dritta in fronte, Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per 10 minuti.
Dicevo che un po’ mi è dispiaciuto, ma mentre parlava vedevo quelle enormi tette sode e insieme sentivo quell’odore di loffa che mi si era intrappolata nelle narici, e lei mi parlava di amore e di colpi di fulmine e io pensavo alla Marcuzzi e a quel genere di femmine che non mi rivolgevano la parola. E poi non sentivo la coscienza ormai da un po’ e mi tornava alla mente la cipollata di quel tipo alla Locanda della Zia Wanda e...
Mi sono lasciato prendere dagli entusiasmi.
Sapete tutti com’è.
Controllai il suo sportello ed era tutto ok. Aprii il cruscotto, presi il cacciavite e lo misi sotto il sedile anteriore destro, accesi il motore, misi la prima e imboccai la strada provinciale Lecce-Novoli. Passarono quei dieci minuti e lei si svegliò, mi guardò e chiese cosa cazzo fosse successo. A quanto pare non lo ricordava. Sei crollata e hai sbattuto la testa, hai dormito per una decina di minuti, le dissi, lei mi rispose che aveva fatto un sogno.
- Un sogno? Di che genere?
- Una cosa strana. C’eravamo io, te e altre persone che non riuscivo ad identificare. Forse erano dei miei amici di infanzia, forse era il mio ex-compagno, non lo so. Eravamo a casa mia, nella mia camera da letto, era il mio compleanno e tu mi ha regalato un palloncino.
- Un palloncino?
- Si, un palloncino. Di quelli di plastica o gomma, o che è, che si gonfiano a fiato, che poi riempiono le feste di compleanno dei bambini.
- Ah ok ho capito. Un palloncino.
- Si bravo, un palloncino.
- Che regalo di merda però. Un palloncino.
- Me lo hai regalato tu, sei tu che mi hai fatto un regalo di merda.
- Ma te lo sei sognato tu, non è che sono responsabile anche dei tuoi sogni...
- Vabè, lasciamo stare. Dov’ero rimasta?
- Ti ho regalato un palloncino.
- Ah si, giusto. Il regalo di merda. Allora mi regali sto palloncino, io lo prendo in mano e prendo a gonfiarlo. Lì per lì mi piace perché si gonfia bene, ma poi inizia a darmi quella sgradevole sensazione alla mascella, hai presente?
- Quando soffi troppo e poi finisce che ti fa male qui, all’attaccatura tra mandibola e mascella?
- Si esatto.
- Si, si, ho capito.
- Nzomma, gonfio questo palloncino e quando prende a farmi male la mascella mi fermo e faccio il nodo per non far uscire l’aria. A quel punto il palloncino si buca, ma non esplode. Lascia solo uscire fuori l’aria dal buco. Io mi dispiaccio, perché per quanto potesse essere di merda era il tuo regalo per il mio compleanno, e allora su quel piccolo buchino ci metto sopra un dito, di modo da bloccare la fuoriuscita dell’aria. E l’aria non esce più.
- E’ normale.
- No, non è normale, perché è vero che non esce più, ma come copro il buco, l’aria prende ad entrare nel palloncino e il palloncino si gonfia ancora di più, e si gonfia fino a bucarsi di nuovo.
- Ah, figo. E quindi?
- E quindi ricopro il nuovo buco e di nuovo l’aria riprende ad entrare nel palloncino e il palloncino riprende a gonfiarsi.
- E si ribuca.
- Esatto. Solo che questa volta il buco è più grande e ora per coprirlo ho bisogno di due dita. E poi l’aria riprende a gonfiarlo di nuovo, perché cazzo, so che è incredibile, ma continua ad entrare e per il nuovo buco ora mi occorre il palmo intero della mano. E poi non mi bastano neppure due mani intere e più si gonfia e si buca, più diventa grande e grosso, e più cresce più la gomma di questo cazzo di palloncino di merda si fa sottile e più si assottiglia più è facile che si buchi.
- Cazzo.
- Cazzo si. Perché si buca.Cazzo se si buca.E tu mi vedi in difficoltà e io ti chiedo aiuto e tu me lo dai l’aiuto e me lo danno anche quelle persone di cui non conosco i volti. E allora siamo tutti su questo palloncino che è diventato enorme e ci avvinghiamo uno sull’altro per raggiungere i buchi più in alto per coprili perché ora il palloncino è più alto di me e non è facile arrampicarvisi sopra. E ci sforziamo da matti a mettere le mani su quei buchi che aumentano inesorabilmente, come la sua dimensione, ma più ci affrettiamo a coprire i buchi più questi aumentano e alla fine tu e quella gente vi scassate ad aiutarmi e uno dopo l’altro, inesorabilmente, mi lasciate sola. Ma io non ce la faccio da sola e per quanto mi batta, per quanto io lotti, i buchi per me da sola sono troppi e il pallone per quanto diventi grosso, per quanto assottigli quella gomma, per quanto si buchi, non scoppia mai, non la fa mai finita. E io non riesco a smettere di dimenarmi, non sono capace a lasciarlo libero di sgonfiarsi. Voglio tappare quei buchi.E riprendo a chiedervi aiuto, vi imploro, ma niente. Mi ignorate completamente, come se non ci fossi e forse non ci sono davvero o non mi vedete.
- Che succede alla fine?
- Succede che il pallone mi soffoca, mi schiaccia sul mio letto e mi uccide.
Accosto l’auto sulla ciglio della strada.Mi volto verso di lei. Con la sinistra accarezzo Kwak, con la destra afferro il cacciavite da sotto il suo sedile, senza farmi vedere. Lei lacrima, sta piangendo. E’ stato un brutto sogno, anche per una prostituta.
- Cosa significa questo sogno secondo te?
- E’ la tua vita. E’ la voragine.
- Aiutami, ti prego. Non lasciarmi sola.
- Lo sai che non accadrà.
Il cacciavite le colpi la tempia. Un colpo solo, secco. La punta a croce entrò con un po’ di sforzo, ma fortunatamente immaginai potesse accadere e la colpii con violenza.
Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per sempre.
Presi a scavare una fossa in un pezzo di terra della Lecce-Novoli.
Non mi era rimasto più nessuno, solo la violenza, i debiti e i miei pensieri. E uno di questi ripeteva sempre la stessa cosa.
E’ la mia vita. E’ la voragine.
Nota: questo post è la QUARTA parte di un post abbastanza lungo.
Se volete capirci qualcosa e non avete ancora letto le superfantastiche "precedenti tre puntate" vi consiglio di leggere PRIMA la "Parte Uno", "Parte Due" e la "Parte Tre" e POI la Parte Quattro, che è questa che state leggendo in questo momento. Io vi consiglio di farlo, giusto per non farvi perdere troppo tempo...
Rimisi al proprio posto ogni cosa, nastro isolante e pensieri, cacciavite e pinza, panza e sostanza. Ero stanco, poco sbronzo e ne avevo abbastanza e tutto ciò che mi avanzò nel rimontaggio, finì in una scatola nel portabagagli.
Quando ebbi finito, tornai a casa e mi rifugiai nella mia stanza.
Mi resi conto che ora era da un bel po’ che Sua Maestà La Coscienza era sparita, lasciando dietro di se nessuna traccia.
Forse era morta per davvero ed io ero libero di fare minchiate tipo le mie modifiche all’auto, tipo mio padre.
La Coscienza.
Forse anche mio padre l’aveva taciuta.
Quando andai a prenderla da casa, Kwak era più bella della sera prima. Entrò in macchina, arrivammo a destinazione ed andammo dritti al sodo. O almeno ci andai io.
Quell’uovo lo avrei preferito strapazzato, con un po’ di pomodorini schiattati accanto, rucola fresca e olio e origano su una frisa di orzo, bagnata almeno quanto Kwak quando aveva le mie mani addosso, ma lei impazziva per quello sodo e non mi trattenni dal dirglielo strapazzandole le tette. Sode.
E toccandole la patata. Bagnata.
In trattoria facemmo un salto. Con l’asta.
Le uova che prendemmo nella Locanda della Zia Wanda non tardarono ad arrivare.
Non passò molto che prese a piovere, poi la pioggia aumentò di intensità e diluviò. Tuoni e lampi, pioggia e fulmini.Bagnati fradici, dissi "se continua così finisce che fa brutto e piove", lei schiamazzò in una risata tra l’isterico e il divertito, poi mi prese una mano.
Temetti una nuova domanda su quel programma di Italia Uno degli anni ’90 e mi venne un colpo. Di fulmine.
Le uova sode in trattoria puzzavano di loffa lontano un chilometro, un tipo che prese una pizza cipollata mi guardò malissimo, come se l’avessi fatta io. La loffa, non la pizza.
Non feci comunque nessuna delle due e l’odore della cipollata mi ricordava vecchie partite di pallone con gli amici, con le ascelle di tutti vistosamente incazzate col genere femminile.
Quel genere di femmine che non ci rivolgeva la parola, chissà perché poi.
Devo ammettere che a fine serata un pò mi dispiacque fare quanto feci ma non ce la facevo più, e Kwak si stava montando la testa, mentre io volevo montarla e basta.
Una volta in macchina, con una quantità notevole di alcool in circolo e una puzza di loffa che ci appestava il fiato, dopo averla montata come un lego nel circo dell’amore, Kwak respirò a fondo e partì:
- Ho avuto un colpo di fulmine.
- E’ perché c’è il tempo che fa brutto. Vedrai che finisce che piove.
- Ho preso un colpo di fulmine per te, idiota.
- Non scherzare, lo sai che ho famiglia.
- Lascia tua moglie, andiamo via insieme.
- Andare dove?
- Da qualunque parte. Sono stanca di fare questa vita, di fare la puttana, di essere toccata da tutte quelle mani luride, tutta questa gente che si approfitta di me, della mia situazione. Godono tutti tranne me, e a me non resta che quella roba appiccicosa da lavare via con un klinex comprato in confezioni giganti. (Sperma) Sono stanca di piangere. Io ti amo. Vieni via con me, lascia tua moglie, fanculo ai bambini, li hai sempre detestati. E poi tua moglie non la ami o non verresti a letto con me. Puoi portarti dietro il cane se ti fa piacere, ma andiamo via ins...
Il pugno chiuso stringeva il frontalino estraibile dell’autoradio, che fino a un attimo prima suonava "A like Rolling Stone" del buon Bob Dylan. Ad alcuni non piace Bob Dylan, io avevo il sentore che a Kwak non le sarebbero piaciuti più neppure i frontalini estraibili.
Fatto sta che il pugno farcito di autoradio Audiola la colpì dritta in fronte, Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per 10 minuti.
Dicevo che un po’ mi è dispiaciuto, ma mentre parlava vedevo quelle enormi tette sode e insieme sentivo quell’odore di loffa che mi si era intrappolata nelle narici, e lei mi parlava di amore e di colpi di fulmine e io pensavo alla Marcuzzi e a quel genere di femmine che non mi rivolgevano la parola. E poi non sentivo la coscienza ormai da un po’ e mi tornava alla mente la cipollata di quel tipo alla Locanda della Zia Wanda e...
Mi sono lasciato prendere dagli entusiasmi.
Sapete tutti com’è.
Controllai il suo sportello ed era tutto ok. Aprii il cruscotto, presi il cacciavite e lo misi sotto il sedile anteriore destro, accesi il motore, misi la prima e imboccai la strada provinciale Lecce-Novoli. Passarono quei dieci minuti e lei si svegliò, mi guardò e chiese cosa cazzo fosse successo. A quanto pare non lo ricordava. Sei crollata e hai sbattuto la testa, hai dormito per una decina di minuti, le dissi, lei mi rispose che aveva fatto un sogno.
- Un sogno? Di che genere?
- Una cosa strana. C’eravamo io, te e altre persone che non riuscivo ad identificare. Forse erano dei miei amici di infanzia, forse era il mio ex-compagno, non lo so. Eravamo a casa mia, nella mia camera da letto, era il mio compleanno e tu mi ha regalato un palloncino.
- Un palloncino?
- Si, un palloncino. Di quelli di plastica o gomma, o che è, che si gonfiano a fiato, che poi riempiono le feste di compleanno dei bambini.
- Ah ok ho capito. Un palloncino.
- Si bravo, un palloncino.
- Che regalo di merda però. Un palloncino.
- Me lo hai regalato tu, sei tu che mi hai fatto un regalo di merda.
- Ma te lo sei sognato tu, non è che sono responsabile anche dei tuoi sogni...
- Vabè, lasciamo stare. Dov’ero rimasta?
- Ti ho regalato un palloncino.
- Ah si, giusto. Il regalo di merda. Allora mi regali sto palloncino, io lo prendo in mano e prendo a gonfiarlo. Lì per lì mi piace perché si gonfia bene, ma poi inizia a darmi quella sgradevole sensazione alla mascella, hai presente?
- Quando soffi troppo e poi finisce che ti fa male qui, all’attaccatura tra mandibola e mascella?
- Si esatto.
- Si, si, ho capito.
- Nzomma, gonfio questo palloncino e quando prende a farmi male la mascella mi fermo e faccio il nodo per non far uscire l’aria. A quel punto il palloncino si buca, ma non esplode. Lascia solo uscire fuori l’aria dal buco. Io mi dispiaccio, perché per quanto potesse essere di merda era il tuo regalo per il mio compleanno, e allora su quel piccolo buchino ci metto sopra un dito, di modo da bloccare la fuoriuscita dell’aria. E l’aria non esce più.
- E’ normale.
- No, non è normale, perché è vero che non esce più, ma come copro il buco, l’aria prende ad entrare nel palloncino e il palloncino si gonfia ancora di più, e si gonfia fino a bucarsi di nuovo.
- Ah, figo. E quindi?
- E quindi ricopro il nuovo buco e di nuovo l’aria riprende ad entrare nel palloncino e il palloncino riprende a gonfiarsi.
- E si ribuca.
- Esatto. Solo che questa volta il buco è più grande e ora per coprirlo ho bisogno di due dita. E poi l’aria riprende a gonfiarlo di nuovo, perché cazzo, so che è incredibile, ma continua ad entrare e per il nuovo buco ora mi occorre il palmo intero della mano. E poi non mi bastano neppure due mani intere e più si gonfia e si buca, più diventa grande e grosso, e più cresce più la gomma di questo cazzo di palloncino di merda si fa sottile e più si assottiglia più è facile che si buchi.
- Cazzo.
- Cazzo si. Perché si buca.Cazzo se si buca.E tu mi vedi in difficoltà e io ti chiedo aiuto e tu me lo dai l’aiuto e me lo danno anche quelle persone di cui non conosco i volti. E allora siamo tutti su questo palloncino che è diventato enorme e ci avvinghiamo uno sull’altro per raggiungere i buchi più in alto per coprili perché ora il palloncino è più alto di me e non è facile arrampicarvisi sopra. E ci sforziamo da matti a mettere le mani su quei buchi che aumentano inesorabilmente, come la sua dimensione, ma più ci affrettiamo a coprire i buchi più questi aumentano e alla fine tu e quella gente vi scassate ad aiutarmi e uno dopo l’altro, inesorabilmente, mi lasciate sola. Ma io non ce la faccio da sola e per quanto mi batta, per quanto io lotti, i buchi per me da sola sono troppi e il pallone per quanto diventi grosso, per quanto assottigli quella gomma, per quanto si buchi, non scoppia mai, non la fa mai finita. E io non riesco a smettere di dimenarmi, non sono capace a lasciarlo libero di sgonfiarsi. Voglio tappare quei buchi.E riprendo a chiedervi aiuto, vi imploro, ma niente. Mi ignorate completamente, come se non ci fossi e forse non ci sono davvero o non mi vedete.
- Che succede alla fine?
- Succede che il pallone mi soffoca, mi schiaccia sul mio letto e mi uccide.
Accosto l’auto sulla ciglio della strada.Mi volto verso di lei. Con la sinistra accarezzo Kwak, con la destra afferro il cacciavite da sotto il suo sedile, senza farmi vedere. Lei lacrima, sta piangendo. E’ stato un brutto sogno, anche per una prostituta.
- Cosa significa questo sogno secondo te?
- E’ la tua vita. E’ la voragine.
- Aiutami, ti prego. Non lasciarmi sola.
- Lo sai che non accadrà.
Il cacciavite le colpi la tempia. Un colpo solo, secco. La punta a croce entrò con un po’ di sforzo, ma fortunatamente immaginai potesse accadere e la colpii con violenza.
Kwak cadde di testa sul cruscotto e fu morta per un bel po’.
Diciamo pure per sempre.
Presi a scavare una fossa in un pezzo di terra della Lecce-Novoli.
Non mi era rimasto più nessuno, solo la violenza, i debiti e i miei pensieri. E uno di questi ripeteva sempre la stessa cosa.
E’ la mia vita. E’ la voragine.
3 commenti:
Cazzo.
Bella conclusione ;)
E poi il fatto che ci sia la Kwak è fenomenale :D
AlanMoore
un amico una volta mi disse:"la coscienza è come un sacco di mattoni... basta metterlo in un angolo e non pesa più"
A parte il fatto che la paternità non credo sia la sua, il mio dubbio è:
perchè uccidere quella povera baldracca?
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