(Massimino contro la rivoluzione del tempo)
E' il 1984 e siamo ancora lontani dal futuro di Orwell. Io sono nato da poco, sono un bambino e ancora non so come gira e per capire le faccende tempo, futuro e simili, mi affido a mio padre e ai suoi insegnamenti.
Insegnamento Uno:
- Papà mi accompagni da Marco? E' il suo compleanno...
- Non ho tempo, magari in futuro...
Cazzo, ho sei anni e credo che il tempo sia una cosa troppo lunga da aspettare e che il futuro sia troppo lontano per raggiungerlo. Troppo, troppo lontano.
Il tempo scorre lentamente a sei anni. Vivo in un paesino in provincia di Lecce, Surbo, e ho un vincolo di tempo quando esco, per tornare a casa. A pensarci bene è un anti-vincolo. Mio padre, vecchio della nuova generazione di vecchi, ai suoi tempi figlio dei fiori, al contrario di quanto accadeva agli altri ex-bambini che ho conosciuto crescendo, mi impediva di rientrare a casa prima di un certo orario, le dieci di sera.
Che sarà anche bello quando sei bambino, le prime cinque sei volte, ma a sei anni, che cazzo c'avrai da fare fino alle dieci di sera, considerando poi che uscivo alle quattro del pomeriggio?
Mio padre voleva impedirmi di crescere mammone e casalingo e pertanto mi lasciava in balia del fato e delle misteriose ombre che costeggiano la vita di un bambino. Gente di strada dovevo essere che la strada insegna più di una scuola, soprattutto se a scuola ci vai tre volte a settimana.
Il paesino era affascinante, comunque e io a sei anni credevo che tutti i paesini fossero così...
Un sacco di case abbandonate in un sacco di campagne alberate, con un sacco di siringhe sugli alberi.
Bella roba. E buona anche.
Un sacco di un bel cavolo di niente, manco a coltivarlo, e a pensarci ora ripenso a quel romanzo sconclusionato che è La Notte del Drive In. Ma sono le dieci di sera e alle dieci di sera si imparano un sacco di cose per le strade di Surbo. Cose che mi saranno fondamentali nella vita, ne sono sicuro. Tipo catturare le lucertole con un cappio realizzato con le famosissime zite, piante che non ho mai scoperto come si chiamano realmente e che Dio ha creato solo per catturare le lucertole. O almeno questo mi insegna mio padre. E' l'insegnamento numero Due. Ma ho imparato anche che la sera è sera e non ci sono santi. A meno che io che ho sei anni non rientri verso le 12, che è notte, notte fonda cazzo, che mio padre sclera che guarda che orario è, e quindi già mazzate e santi, a rotazione, che lui aveva detto non prima delle dieci ma a tutto c'è un limite.
E' estate, l'estate del 1984 ed è ufficiale: alle dieci di sera, è sera.
Cresco.
Ora ho 12 anni, sono a Lecce e se tanto mi da tanto posso tornare a casa per le 12 anche se è buio, ma papà dice di no.
Insegnamento Tre.
Alle 12, se è buio, è notte.
Lo capisco al volo perchè sono un ragazzetto sveglio e veloce nell'apprendimento, solo un pò distratto, tanto che ogni tanto dimentico l'insegnamento tre e per fortuna che c'è mio padre pronto a ricordarmelo con la sua astuta tecnica mazzate + santi.
E io non me lo scorderò più.
Me ne vado con questa convinzione fino al 2004. Sono cresciuto e sono le 12 ed è anche piuttosto buio. E' notte, ne sono certo, e sono le mie cicatrici a ricordarmelo che quando ci penso ancora fanno male. Sono in giro per la strada e incontro gli amici, tutti ex-bambini che a sei anni alle dieci di sera erano a casa.
Mi salutano.
- Yo man, che si fa stasera?
E' chiaro che abbiamo genitori diversi.
Il tempo passa ed è evidente che anche per il tempo stesso, se stesso, passa e forse il tempo invecchia e noi invecchiamo con esso, e per sentirci giovani abbiamo cancellato la notte dalla nostra cultura. Perchè forse la notta al giorno d'oggi è una distanza che si accorcia, che ci avvicina alla nostra notte, l'ultima. E allora è meglio concentrarsi sulla sera, il purgatorio delirante di alcool e feste estive.
Per mia nonna la notte sarà anche notte, ma per i miei amici è sempre sera, e di sera si può stare in giro.
E' il 2011, sabato, un sabato d'estate, e sono in centro con i miei amici, trentacinquenni scapoli, festaioli e sbevazzati. Penso a mio padre e a questo lungo purgatorio alcoolizzato, e a lui che alla mia stessa età era un uomo con una famiglia, due figli e mezzo e un lavoro sicuro, sicuro che di là a pochi anni lo perderà, e ai miei amici che invece non sono e non hanno un cazzo. E guardo questi miei amici che riflettono me stesso, ma senza pensarci, perchè sono ancora ragazzi e i ragazzi non tanto riflettono. Pensa te che si schiantano per strada con la macchinetta dopo una serata brava che di brava ha ben poco.
E ci incontriamo che il tempo è passato e sono le quattro di notte. O almeno credo. Cioè, sono le 4 di notte stando a quanto sostengono mio padre e la nonna. Ma per loro no.
- Ciao ragaz, che si fa stasera?
Cazzo, sono le quattro di notte, stasera una sega! Che vuoi fare? Andiamo a dormire, no?
E invece no, perchè è sera e la sera si esce.
Quindi passo e chiudo e ci sentiamo domani, se la macchina mi porta a casa e se il purgatorio continuerà a bere e a mangiarsi il mio tempo e il tempo dei miei amici.
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