"L'altro giorno quando mi chiamavi ero incasinato col lavoro, avevo un casino di gente, erano arrivati i pacchi e non ascoltavo nessuno. Ho pensato ad alta voce a quanto mi dicevo prima di aprire l'attività: apro una fumetteria e non faccio un cazzo dalla mattina alla sera. La gente entra per comprare, non scassa il cazzo nessuno. Madonna il massimo, mi sono detto".
Poi alterato ho aggiunto: COL CAZZO NON FACCIO NULLA!" [Roberto Palaia - Fumettopoli]
La fumetteria è un negozio che non esiste.
In Italia ce ne sono un paio di centinaia, e in queste includiamo anche chi vende minchiapposta e stronzadgets insieme a due fumelli da due lire e una scorreggia.
Alla camera di commercio il discorso non migliora: ancora ricordo l'impiegata che non trovando (non esistendo) la voce fumetteria nell'elenco delle attività italiane, mi disse con fare sicuro e disinvolto "la inserisca sotto la voce bar".
Non avendo metri di misura ufficiali dobbiamo limitarci a quanto ci suggerisce il nostro dono più sopravvalutato: la deduzione.
Per sommi capi potremmo dunque dire che la fumetteria è un posto dove si vendono fumetti. Onesto.
Poi apro un numero di Mega, faccio un giro sul web, parlo con editori, e leggo commenti di autorevoli personaggi del settore che puntano il dito verso la fumetteria, che la crisi del fumetto è colpa del negoziante, del proprietario dell'attività commerciale, che è lui che deve (in ordine sparso, s'intende) conoscere il prodotto del piccolo editore (per ogni singolo piccolo editore. Quindi tutti i prodotti di tutti i piccoli editori. Quindi tutti i prodotti che producono o produrrebbero i piccoli editori, se solo le fumetterie ne ordinassero in quantità sufficiente per mandarli in stampa, senza conoscerli PER POI conoscerli. Ogni mese. Per sempre), organizzare incontri con gli autori (a proprie spese, s'intende. Che già gli editori non stampano una locandina pubblicitaria del proprio prodotto, figuriamoci se pagano il viaggio o il vitto o l'alloggio o la giornata di lavoro all'autore o la grafica delle locandine pubblicitarie, o la stampa delle stesse o, pensa te, l'attacchinaggio), spingere il singolo fumetto moltiplicato per tutto il catalogo di tutti i suddetti minuscoli piccoli e medi editori.
Perchè quello del negoziante di fumetti non è un lavoro. Non nel senso stretto del termine almeno. Si è vero, paga le tasse come un'azienda, l'affitto come un'azienda, ha dipendenti come un'azienda, un commercialista come un'azienda, qualcuno (in genere il negoziante di fumetti stesso) potrebbe addirittura CONFONDERLA con un'azienda, ma quella del negoziante di fumetti è una missione (a loro dire, s'intende).
Far conoscere il buon fumetto (quello del singolo piccolo medio e minuscolo editore) al pubblico che purtroppo è ignorante. Insomma, a prima vista potrebbe anche apparire come un'atività commerciale, ma in realtà è una biblioteca tutelata dall'O.N.L.U.S.
Il pubblico legge fumetti che vendono.
Legge manga, legge supereroi, legge bonelli, qualcuno addirittura legge pornazzi (la maggior parte li sfogliano. Una minoranza ne attaccano le pagine). Ma non tutti, o comunque non in un numero sufficiente leggono il buon fumetto, che poi è quello (evidentemente incompreso) del piccolo editore.
Che non hanno soldi gli editori.
Poverini.
Mica fanno i fumettari loro. Quelli si che fanno soldi a palate, basta vedere quante fumetterie ci sono in Italia. Ce ne sono un numero così ridicolo che nemmeno la camera di commercio ci ha preso in considerazione.
Ma l'editore non ha soldi è un dato di fatto. Perchè se lo racconti poi si avvera.
Quindi la promozione, la conoscenza e la divulgazione, in nome di questa missione grava per un'increscioso scherzo del ka (zz) sulle spalle dei negozianti.
Che dovrebbero comprare il materiale suddetto "per avere un minimo di offerta in più". Non importa se in negozio hai 50mila o 200mila euro investiti in fumetti. Non importa nemmeno se quell'offerta non se la caga nessuno di quei poveri lettori ignari.
"Per far conoscere il fumetto".
"Perchè questi editori vengano fuori"...
Come se ce ne fosse la necessità. Come se la sentisse qualcuno all'infuori di loro stessi.
E che non si dica che l'editore di prodotti che NESSUNO VUOLE chieda al negoziante l'impossibile.
Effettivamente mica viene chiesto al negoziante di venderli quei fumetti. Questo si che sarebbe impossibile.
Ci si limita a chiedergli di acquistarli.
In conto assoluto. A scatola chiusa. Con uno sconto che è un insulto all'intelligenza umana e al lavoro che gli si richiede. Poi se gli rimane sul groppone per sempre, che vuoi che ti si dica. Fai il commerciante ed è rischio di impresa.
Una specie di carità dovuta, e pertanto esente da ringraziamenti o guadagni.
Che tutto questo viene detto per il bene del fumetto, per il bene del negoziante, che altrimenti si trasformerebbe in una "mangheria" o (come recita Mega di Aprile) "in una edicola con qualche fumetto in più".
A parte la distanza interplanetaria su cui viviamo e la conseguente differente percezione delle cose, mi chiedo: e anche se fosse?
E' un male avere SOLO prodotti vendibili?
E' un male non sperperare liquidi in favore di prodotti morti?
E' un male avere una gestione SANA della propria azienda?
Forse è un male se paragonata a quella missione...
Ma parliamoci chiaro.
Nessun negoziante ha nessuna missione. A parte portare il pane a casa e conservare una certa dignità per guardare in faccia i propri figli. Che a me dei fumetti di merda non me ne frega proprio un cazzo. Che i mobili, l'affitto, le tasse, le paga chi lavora all'interno di quelle quattro mura e questa, cazzo, si che è un'azienda. E questo è un sistema capitalistico che non condivido ma che mi trovo costretto a vivere, e dice che se il mercato non ti vuole, sei out. E che le motivazioni contano quanto il due a briscola.
E che se vuoi entrare in fumetteria, devi avere proposte con i controcazzi, ma non per quella che è la tua idea di "controcazzi" (che non importa a nessuno e che a quanto si è visto dai risultati conseguiti finora, è sbagliata) ma per quella che è l'idea del pubblico che compra da me per poi spingermi a comprare da te. E se non ne hai, se out.
E devi fare al negoziante offerte, proposte e se necessario anche un paio di pompini, per occupare quello scaffale, o quella vetrina, o spodestare quel distributore in favore del tuo, e se non ne sei in grado, sei out.
E se sei out, ritenta e fai la fila.
Perchè già è triste il fallimento di un progetto, ma dare la colpa agli altri, per le proprie incapacità (di giudizio, economiche, o del ka), è vergognoso.
Ed è questo che fa male al fumetto.
Perchè noi negozianti mica stiamo qui a pettinar le bambole.
P.S.
Una volta un editore che stimo mi ha detto "Max, se non hai il capitale, se non sei in grado, non aprire un'attività. Nessuno ti costringe."
Dovrebbe ripeterla più spesso ai suoi colleghi.
P.p.s.
"Caga cu lu culu tou, quista ete la formula: iou cacu cu lu miu, tie caga cu lu culu tou" [cit.]
2 commenti:
fantastico quest'articolo...la foto è più inquietante:)...tra parentesi, l'annuario di fumo di china continua a mettere la rex j tra le fumetterie...ma ci arrivano?
Saluti..A proposito, mi son visto con Andrea Plazzi che mi ha chiesto della fiera...
quoto appieno il tuo articolo.
Una cosa: tanti gestori di fumetterie sono come i piccoli editori, che lo fanno "per farlo". Aprono fumetterie, magari organizzano fiere perché... sono appassionati! Ma... se sei appassionato, LEGGILI i fumetti. Parlane con gli amici. Vai sui forum.
Ma... organizzare fiere, gestire fumetterie... è un LAVORO!
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